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  • Immagine del redattoreQuelli dell'AVC

Un po' di storia del Carrobiolo


Qui anticamente correvano le mura medievali fatte costruire da Azzone Visconti nel 1333. dopo l’annessione al Ducato di Milano. E qui sotto sono stati ritrovati i resti dell’insediamento degli Umiliati che qui, lungo il Lambro, si dedicavano alla lavorazione e alla tintura dei tessuti, in particolare della lana, con i cui ingenti proventi veniva finanziata anche una fiorente attività bancaria.

Nel 1248 il convento, che allora era dedicato a Sant’Agata prestò un ingente somma di denaro al capitolo del Duomo, ricevendo in pegno tra l’altro anche la Corona Ferrea.

Ma questo soprattutto è stato il luogo che per due secoli ha rappresentato il cuore dell’opera educativa dei Barnabiti di Monza: l’oratorio.

L’iniziatore di questa esperienza fu Padre Fortunato Redolfi che nel 1814 volle aprire un oratorio. Il termine oratorio tecnicamente definisce un luogo deputato all’iniziazione e all’educazione cristiana della gioventù; luogo di preghiera ma anche di aggregazione e di socialità. Ed è significativo che questo avvenga nel 1814, cioè un anno prima che nascesse, a Castelnuovo d’Asti, don Giovanni Bosco, universalmente riconosciuto come il promotore dell’esperienza degli oratori in Italia, come è arrivata fino a noi.

Siamo all’indomani dell’esperienza napoleonica che aveva portato alla soppressione degli ordini religiosi e alla conseguente confisca di parte dei beni della chiesa.

I barnabiti non lasciarono Monza perché il provvedimento non colpiva i religiosi impegnati nell’istruzione. E siccome in questo complesso c’era già una scuola per i poveri che aveva diritto a proseguire l’attività, la comunità fu ridimensionata ma non sparì del tutto.

Padre Redolfi però dovette far ritorno ad Adro, in Franciacorta, suo paese natale e qui avviò un’esperienza educativa aperta a tutti.

Quando fece ritorno a Monza l’oratorio che avviò era rivolto ai ragazzi della borghesia monzese e proponeva loro sia attività educative che momenti ludici e ricreativi di aggregazione e di vita insieme.

Inizialmente la sede fu negli spazi dove attualmente si trova il Teatro Villoresi; lì c’era un cortile per i giochi, la sala del biliardo e dei giochi di società e, ovviamente, anche una cappella per la preghiera. Padre Luigi Maria Villoresi fu il successore di padre Redolfi. A lui è intitolato il teatro e a lui si deve la fondazione del Collegio Villoresi (comunemente conosciuto come “il San Giuseppe”), inizialmente nato qui, inizialmente come seminario per i ragazzi delle famiglie povere che non potevano permettersi di

pagare gli studi religiosi ai propri figli.

L’esperienza dell’oratorio in senso stretto ha vissuto varie vicissitudini, ha dovuto cercare altri spazi nella vicina parrocchia di San Gerardo o nelle stalle all’interno del complesso del convento delle Grazie Vecchie.

In tempo di guerra qui ha trovato spazio il circolo ufficiali dell’esercito; e si dice che la statua della madonna collocata all’ingresso originario (lato ufficio di igiene) non sia altro che un busto i bronzo di Vittorio Emanuele II in divisa militare rifuso nell’attuale soggetto sacro quando l’oratorio nel Dopoguerra fu intitolato alla Addolorata.

L’esperienza è proseguita fino alla soglia degli anni settanta del secolo scorso.

Attualmente questi spazi ospitano un centro educativo che nel 2023 festeggerà trent’anni di vita, avviato dalla collaborazione tra i Padri Barnabiti e le vicine Canossiane e gestito da una laicissima Associazione di volontariato che attualmente ha generato la neonata impresa sociale Il Carro.

In 30 anni questo campanile ha visto avvicendarsi qualche migliaio di ragazzi che qui hanno giocato a pallone, fatto i compiti, incontrato amici, bisticciato, fatto esperienze; accolti da questo cortile, da queste aule, da questo campetto, ma soprattutto dalle braccia aperte di educatori e volontari, giovani e meno giovani, che hanno provato con tanta dedizione e tanto cuore a sostenerli i percorsi di crescita spesso non facili. Qualcuno di questi ragazzi, diventato grande, ha poi scelto di restituire un po’ di quello che ha ricevuto tornando a dare una mano ai più piccoli perché anche loro potessero trovare nel Carrobiolo un luogo che ti fa stare bene, ti aiuta a crescere, ti fa sentire accolto e rispettato per quello che sei.


Di questo siamo contenti e anche un po’ fieri. Probabilmente la passione educativa che duecento anni fa animava padre Redolfi qui non si è mai spenta.


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